Lettera di Valentina a la Repubblica

Pubblico questa lettera di Valentina al giornale la Repubblica, in risposta all‘inchiesta sui giovani dell’Italia senza speranza. Molto bella. Lettura raccomandata a chi non trova lavoro, o a chi il lavoro l’ha lasciato o lo vuole lasciare.

Leggendo l’inchiesta di Repubblica ho sentito il bisogno di esprimere quello che penso e di
raccontare la mia esperienza. Troppo tardi forse, per le necessità della stampa: l’inchiesta è già
uscita e ora delle mie parole forse non ve ne fate niente. Eppoi io non sono nessuno, come si
legge negli articoli : non sono un esperto di democrazia, ne’ di sociologia, sono solo uno di quei
fantasmi.

Siamo stati illusi, è vero, e mentre ero lì che studiavo con l’unica preoccupazione di dare esami
e ottenere un bel voto, il mondo girava nel senso opposto.

Questa è la mia storia : laurea breve in filosofia, tre anni in tre anni (anzi, in 2 anni e 9 mesi)
con votazione 110 su 110. Decido di cambiare indirizzo di studi e mi iscrivo alla specialistica
in “Comunicazione Internazionale” dell’Università di Modena. Lì maturo l’idea di voler lavorare
nel settore della “Cooperazione Internazionale” e finalmente, nel marzo 2007, parto come
volontaria del servizio civile, con una piccola ong di Macerata, il GUS, per un progetto in Sri
Lanka. Esperienza terribile : mi rendo conto di essere stata “assunta” non per un reale bisogno,
ma perché l’ONG percepisce una certa somma per accettare le volontarie del servizio civile. Qui
si aprirebbe tutto un altro capitolo sulla truffa del servizio civile, ma sarebbe un’altra inchiesta.
Disgustata dall’esperienza per tanti aspetti e decisa a voler fare un vero lavoro, dove ti pagano
perché hanno bisogno di te e dove non sei costretto a fare stage su stage, decido di voler
intraprendere un’esperienza nel privato. Unico presupposto: non voglio entrare tramite
conoscenze.

Cosi’ mi ritrovo a fare il caposettore in un negozio di grande distribuzione dl bricolage (SELF)
e tutto sommato, nonostante le 11 ore al giorno e le ferie che sono miraggi, posso dire che
questa sia stata per me l’esperienza più formativa. Ti sfruttano sì, ti sottopagano d’accordo,
ma almeno per la prima volta mi insegnano qualcosa e non stavo là a scaldare la sedia.
Decido in ogni caso che quella non è la mia vita e che voglio dare una seconda chance alla
cooperazione: “Non fare di tutta l’erba un fascio, Valentina!” – mi dico.

Cosi’ frequento un master in diritti umani, inizio mentre ancora lavoro, sempre 11 ore al
giorno, e dopo il master arriva lo stage. Ennesima stangata. Parto, a spese mie, in Repubblica Centro Africana con il COOPI e semplicemente non mi fanno fare nulla.

E’ stata per me la cosa peggiore che potesse succedermi. Comincio a sentirmi male, a non
sapere più che fare, se restare o partire. Alla fine concludo i miei 4 mesi, lunghi, lunghissimi, e
torno in Italia psicologicamente a pezzi. L’entusiasmo iniziale è completamente soffocato,
come acqua sul fuoco. Inebetita, stordita, triste, e con una storia d’amore in sospeso e giovane, decido di raggiungere
la mia metà a Madrid. Altra mossa falsa: la Spagna vive una situazione difficile e non riesco, nonostante il corso di
lingua, a trovare un lavoro. Sostengo 2 colloqui in otto mesi e la mia autostima, già sotto le
scarpe, raggiunge abissi profondissimi.

Torno in Italia, faccio un carico di energia, e decido che basta: c’è da dare una svolta.
“Io
Francesco mi trasferisco a Parigi, mi sembra la soluzione più comoda, visto che tu lavori tra
Madrid e Parigi. Vado là; ti aspetto”.
E cosi’ mi ritrovo a Parigi, in senso letterale e figurato, inizio a lavorare dopo due mesi,
troviamo casa, mi iscrivo per la prima volta a un corso annuale di qualcosa, nello specifico
capoeira. Mi riattivo insomma, e lo faccio talmente tanto che tra due mesi iscriverò l’impresa mia e di
Francesco alla camera del commercio.

Nonostante tutto, il bagaglio delle mie esperienze negative è sempre li’ che fa capolino e che mi
assale non appena abbasso un po’ la guardia. La cosa che mi ha salvato penso che sia stata la mia convinzione, non calcolata, di non voler rimanere in casa: dentro casa si è figli, mantenuti, mai adulti abbastanza per poter far qualcosa. Inoltre il non lasciarsi andare (a parte giorni davvero difficili). Alzarsi alle 8 tutte le mattine, mettersi lì e dire di dover far qualcosa. Questo anche grazie al mio compagno Francesco, detto l’ “entusiasta”.

Ho invece pagato caro l’essere camaleontica, l’avere molti interessi, senza focalizzarmi su
uno in particolare. L’indecisione, la rotondità, in questa società quadrata, si paga. Selezione
naturale, come diceva il ragazzo nel video.

Voglio concludere in maniera positiva, non per moralismo, ma perché è così che mi sento oggi.
Siamo stati abituati a essere passivi, ci hanno detto studia eppoi lavorerai, lo stato dice di voler
dover aiutare la gente. Io non ci credo nello stato, ma credo nella gente, nel potere di attivarsi,
perché c’è sempre qualcosa da fare. Bisogna attivarsi, ed è quest’energia che da risultati. È la
nostra energia che ci porta cose positive e siamo noi che la creiamo e dobbiamo crearla per noi
anche contro questo sistema che ci vuole pecore ammansite.
Contenti, diligenti con 800 euro al mese, mentre loro se ne pappano milioni e ci tengono per le
palle. La mentalità deve cambiare, dobbiamo parlare, uscire, incontrarci e fare le cose insieme,
anche se non ci sono soldi di mezzo.
Non è vero che è il lavoro a darci un’identità, ma è quello che facciamo, che ha valore anche se
non c’è qualcuno che ci corrisponde una cifra in denaro. Siamo noi a dargli valore e siamo noi a
svalutarci.
Vivo a Parigi, per campare faccio la baby sitter, intano monto il mio progetto di pasta e cerco
un lavoro part time, ma soprattutto sono fiera di essere uscita da una situazione difficilissima
e “patisco”, cioè comprendo con sentimento, la situazione di tutti questi giovani che si sentono
annichiliti in questo panorama geopolitico.

Quella della foto è Valentina durante uno dei nostri atelier farine00, sabato scorso al centro culturale Mains D’Oeuvre.

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